15 ottobre 2020
Lo studio dei tattva non è un argomento dedicato soltanto ai filosofi, studiosi, sanscritisti, religiosi o intellettuali in genere, ma dovrebbe essere affrontato soprattutto dai praticanti e dagli insegnanti, affinché possa essere introdotto nei corsi di yoga regolari e nei programmi di formazione, per capire l’intero processo che è all’origine del metodo. Non dovrebbe essere considerato un semplice elenco da imparare a memoria, ma uno schema di riflessione alla luce della propria pratica ed esperienza personale. I tattva sono da considerare una mappa, all’interno della quale, si dovrebbe leggere l’intero progetto attraversato da un graduale susseguirsi di tante e diversificate esercitazioni ordinate e messe a punto per soddisfare tutte le tappe del cammino più efficace alla propria realizzazione. L’errore comune è di imparare delle tecniche, immaginare un risultato ambito e perseguirlo, senza che quelle tecniche vengano mai cambiate. Le innumerevoli pratiche che sono state diffuse dalla tradizione dovrebbero essere piuttosto inserite all’interno di questa meravigliosa mappa che traccia un percorso e non solo, ma dovrebbero esaltare le varie intenzioni per accompagnare il percorso evolutivo. Esattamente come le abilità che un bambino raggiunge nella sua vita fino all’età adulta: c’è un tempo che cerca di imparare a mangiare, a sentire, a vedere e poi viene il momento in cui imparerà a camminare, a correre e a saltare; e successivamente imparerà a parlare, a leggere, a studiare, ad amare, a condividere, a lavorare.
UNO YOGIN E LA SUA ESERCITAZIONE
Uno yogin, allo stesso modo, non si può esercitare al raggiungimento di una sola abilità, intensificarla, migliorarla, perfezionarla oltremisura. In altre parole, seguire una sequenza ripetuta per una vita e mantenere lo stesso obbiettivo, senza mai intravedere, come fa un bambino altre azioni per soddisfare diverse capacità. Si rischia di isolarsi attorno ad attività ossessive, sostenute da un attaccamento morboso all’abitudine di una gestualità ripetitiva, che possiamo osservare spesso nei reclusi o anche negli animali tenuti in cattività negli zoo o al circo. Il vero progresso non è manifestato dalla iper-perfezione del gesto e neppure dimostrato dal vanto di aver eseguito in modo ineccepibile quella forma voluta dopo un assiduo allenamento. È invece nell’aver saputo accompagnare con amore e dedicata dedizione, sostenuta da una consapevolezza distaccata, luminosa ed equanime, qualsiasi āsana. È necessario però non dare ascolto al giudizio di un osservatore esterno che si lascia condizionare abitualmente solo dalla forma. Gli elementi che dovrebbero convergere sono tantissimi e possono essere interni, espressi da abilità mentali come la stabilità di una concentrazione a prova di ricordi, impressioni, fantasie, dinamiche psicologiche, interazioni di diversa natura e una concentrazione esterna dove operano il respiro, le contrazioni, i blocchi fisici, le parti rilassate, le informazioni sensoriali. Tutto questo mondo interiore dovrà esprimersi in maniera equilibrata e solo allora la forma di un āsana potrà sbocciare come un fiore in una bella giornata di primavera.
I CINQUE POTERI DI CONOSCENZA (JÑĀNENDRIYA).
Il tema di oggi sono i cinque poteri di conoscenza che ci apprestiamo ad elencare, e sono i riferimenti più frequenti e comuni che sono attivi sin dalla nascita. Questi riferimenti ci hanno permesso di imbastire la nostra esistenza quasi principalmente, su ciò che i nostri cari sensi ci inviano come informazioni. Ed è per questo che lo yoga e il tantrismo hanno saputo attribuire a loro grande importanza perché la crescita deve necessariamente iniziare da lì. Cosa potrebbero significare e che cosa vogliano dire questi semplici stimoli neurologici: 21 Śrotra- udito, il senso dell’udito; 20 Tvac - contatto, il senso del tatto; 19 Cakṣus - vista, il senso della vista; 18 Rasana - gusto, il senso del gusto; 17 Ghrāṇa - odore, il senso dell’olfatto.
Questa serie di tattva sono i veri strumenti di conoscenza che tutti noi usiamo da sempre e spontaneamente, si esprimono in un susseguirsi di informazioni a cui noi diamo ascolto spesso superficialmente in un modo a volte distratto e approssimativo. Per questo motivo alcuni sensi vengono percepiti in modo perfetto a discapito a volte di altri. La proposta è quella di esercitarsi nella relazione con i cinque sensi al punto tale da acquisire la stessa abilità nel sapere elaborarne le informazioni. Come imparare ad entrare nelle percezioni, conoscerle, gustarle e trasformarle in sensazioni più precise e più ampie. Un āsana tenuta per tanto tempo con l’attenzione focalizzata sui sensi permette di risvegliare in ognuno di noi delle abilità percettive più evolute.
L’EQUANIMITÀ IN ĀSANA
Si potrebbe, fra le tante esercitazioni possibili, arrivare a dare la stessa attenzione alle forti sensazioni come a quelle sottili in modo equanime. Allora soltanto si raggiungerebbe un livello estremamente evoluto nell’assaporarle. Altrimenti, ascoltando una forte sensazione si escluderebbero necessariamente tutte le altre, in questo caso la mente non si educherebbe all’equanimità. L’equanimità porta la pace interiore e la lenta e progressiva dipartita dalle sensazioni stesse, fino a raggiungere la possibilità di passare ad un altro livello esercitativo. Le sensazioni, non sono di per sé importanti, vanno considerate eventi passeggeri, come le nuvole che passano per il cielo. Se queste dovessero servire per esercitarsi a concentrare l’attenzione, allora avrebbero la stessa motivazione delle sensazioni per uno yogin. Potrebbe essere possibile essere presenti simultaneamente alle cinque informazioni sensoriali, senza lasciare che una delle cinque possa avere il sopravvento sulle altre, e assaporare le varie intensità.
Immaginare ad esempio di trovarsi al centro di una orchestra sensoriale ed evitare di esaltare una sensazione a discapito di altre. Come quando si ascolta una vera orchestra provare a distribuire la stessa dedizione nell’ascoltare tutti gli strumenti simultaneamente, e cogliere così il vero valore di una sinfonia. Comprendete quanto questo aspetto della pratica sia molto più importante delle futili finalità di migliorare le abilità fisiche, come farebbe un acrobata o un ginnasta. La ricerca di abilità fisiche, qualora si potessero raggiungere, e per gli adulti la cosa è molto più difficile, non rappresenta qualcosa di duraturo, le abilità del corpo sono passeggere, in tempi brevi si perdono tutte, mentre quelle mentali se ben allenate è possibile mantenerle per tutta la vita. La mente può rimanere giovane, ma il corpo no.
LE FACOLTÀ INTERIORI
La familiarità con le percezioni sensoriali e l’equanimità percettiva portano a quello che possiamo definire la ricerca interiore, si chiudono quindi i rapporti con il mondo esteriore perché, avendo sviluppato tutte queste abilità, si ottiene un senso di acquietamento e di appagamento e lo yogin può così rivolgere, senza rammarico, l’interesse verso la vita interiore. La conoscenza delle svariate abilità fino a qui elencate portano lo yogin dal movimento all’immobilità, dal ritmo respiratorio sottile lento, pacificato alla sospensione del respiro, dalla grande abilità e sottile percezione delle sensazioni, all’inversione del processo percettivo. Il quale porterà con sé, stabilito uno stato di profonda interiorità, solo le informazioni che provengono dal mondo interiore e non più da quello esteriore, per il tempo che viene mantenuta la direzione di interesse verso l’interiorità stessa. Osservate che tutte queste considerazioni, che ho elaborato nel pensare alla pratica, derivano dallo studio della finalità Prima, fra tutte, ma considerata ultima da questo nostro elenco, perché vi ricordo che qui siamo partiti dal basso ovvero dagli elementi costitutivi più semplici da contattare, grazie proprio alle abilità sensoriali. Tuttavia, non dovremmo fare l’errore di elevare una finalità elementare, come fosse l’unica possibile, e perseguirla avendo introiettato un meccanismo interiore divenuto ormai ripetitivo e automatico.
Immagine Costellazione amorosa - Joan Mirò 1939-41
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