UN LIBRO PER CAPIRE I PARADOSSI DELLO YOGA DI OGGI

18 novembre 2021

Mario Raffaele Conti

 

 

Per tutti coloro che praticano il francese, è uscito per i Pocket dell'editore parigino Le Découverte, un libro delizioso e dal buono spessore: «Yoga, un'histoire-monde - De Bikram aux Beatles, du Lsd à la quête de soi: le récit d'une conquête» (Yoga, una storia del mondo da Brikram ai Beatles, dall'Lsd alla ricerca del sé: la storia di una conquista). L'autrice è la giornalista Marie Kock della rivista «Stylist» e lei stessa praticante di yoga da una dozzina d'anni, insegnante da quattro anni, una dei due milioni di persone che praticano yoga in Francia. O dei 300 milioni nel mondo. 

 L'approccio di Kock è fulmineo: «A Parigi, in India o in California posso praticare uno yoga che mi è familiare, un mix di filosofia indiana, di posture talvolta spettacolari e di promesse di serenità e di una vita migliore ispirati dalle tecniche di sviluppo personale. Questo è presentato dappertutto come lo yoga tradizionale, vestigia di un'arte di una saggezza millenaria. Invece lo yoga che pratichiamo ha un centinaio di anni appena, pensato per rispondere ai bisogni dell'Occidente e per essere esportato lì. Da chi? Da guru indiani che hanno visto il mezzo di rivitalizzare un sapere e una pratica che erano in declino nel loro Paese, ma che potevano essere “rivestiti” con abiti di autenticità».

 Il libro racconta con un linguaggio semplice e puntuale l'ascesi dello yoga fisico e di come questo abbia attecchito in America e in Europa; svela la montagna di affari generato dal viaggio a Rishikesh dei Beatles, quando fino all'800 la località era solo un paese di passaggio per i pellegrini (nel 1936 fu Swami Sivananda ad aprire il primo centro a Rishikesh e dopo di lui ne sono sorti a decine, compreso quello del Maharishi, ormai abbandonato e meta di pellegrinaggi beatlesiani); dà i numeri di un giro d'affari miliardario e che poco ha a che fare con lo yoga. 

 L'anno Zero dello yoga moderno è il 1924 quando Krishnamacharya rende lo yoga «un sistema accessibile a tutti, riproducibile e quindi esportabile», scrive la giornalista francese. A Mysore egli fonda la scuola poi frequentata da Iyengar e da Pattabhi Jois che fu il primo insegnante di André Van Lysebeth. Quando grazie a Vivekananda, Sri Yogendra e Yogananda lo yoga arriva in California, il dado è tratto: Hollywood si lascia sedurre da questa disciplina antica e rimodernata affinché trovi appeal in Occidente. Gloria Swanson, Greta Garbo ed Elizabeth Arden diventano praticanti di yoga, come anni più tardi sarebbe toccato a George Clooney, Sting, Madonna, Demi Moore e Lady Gaga. 

 Nel raccontare in modo esperto le fascinazioni hollywodiane, la Kock non perde la bussola e assesta precisi colpi al timone quando, per esempio, afferma: «Lo yoga non è né una competizione né una ricerca di performance, ma è proprio questo che può spingere gli allievi a praticare assiduamente. È uno dei grandi paradossi si questa disciplina», spiega. E intervista Gérard Arnaud, insegnante molto famoso in Francia che afferma che «non c'è bisogno di sapere mettere la gamba dietro alla testa per essere un buon insegnante». 

 È però Faeq Biria, insegnante di Iyengar Yoga a Parigi che spiega perché lo yoga fisico si sia affermato così tanto in Occidente fino a diventare un omonimo dello yoga tradizionale: «Quando Iyengar ha cominciato a insegnare in Gran Bretagna alla fine degli Anni 60», ha spiegato Biria a Kock, «era stato avicinato da Peter McIntosh che gestiva i programmi di educazione fisica di Londra. Era interessato da metodo Iyengar, ma gli pose tre condizioni: non si parla né di mistica, né di religione, né di reincarnazione dei karma. Al ché il mio maestro rispose: “Accetto la sfida”. Ha cominciato a formare degli insegnanti concentrandosi unicamente sul lavoro muscolare, sugli allineamenti e sui benefici fisiologici». Così nasce lo yoga corporale che ha dimenticato la filosofia. Altro paradosso: «Quando Iyengar insegnava agli allievi indiani, la filosofia e i testi indiani uscivano come torrenti dalla sua bocca». Anche perché, ricorda la Kock, il suo maestro Krishnamacharya - paradosso del paradosso - fu colui che disse che «non è la persona che deve adattarsi allo yoga, ma è lo yoga che deve essere regolato su ciascuna persona».  

 Che dire di fronte a questo spaccato di storia e di attualità? Unire Hatha e Raja Yoga, affondare le radici nei testi antichi e interpretare il pensiero patanjaliano alla luce dell'Hathayoga Pradipika è la risposta a uno yoga fisico moderno che affascina, attrae, ma che - secondo noi - dimentica la parte più preziosa di questo «darsana» straordinario. Che non può essere persa.

 

barbara Caleca

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