28 maggio 2020
L’interesse verso l’esteriorità ci porta a trasformare la visione dello yoga al punto tale da voler migliorare la nostra performance agli occhi di un osservatore esterno.
Assumo una posizione perfetta fino al punto che un osservatore esterno possa non trovare più nessuna imperfezione estetica, fisica o fisiologica. Il giudizio quindi che darò alla mia pratica sarà basato su un apprezzamento derivato dall’intento di soddisfare quei canoni idealizzati che ho a mia volta interiorizzato. La convinzione sarà maggiormente avvalorata se il mio insegnante afferma, davanti agli occhi di tutti i compagni di corso, che la postura che ho mostrato è l’esecuzione più bella e perfetta che lui abbia mai visto fare. Questa semplice affermazione fatta dall’insegnante dimostra che l’allievo, erroneamente indotto dall’insegnante, non ha compreso il giusto senso da dare all’azione āsana appena eseguita.
È importante a questo punto ricordare un concetto cardine del Tantra, a cui ho fatto riferimento nel mio precedente scritto, riguardo l’Uno (Eka) tantrico: non è l’unicità che nega la vita del corpo, la quotidianità, il mondo che ci circonda, ma è l’onnicomprensività, è il Tutto (Pūrna) che è considerato l’Uno.
IL PARTICOLARE, LA PRIGIONE DELLA MENTE
Il Tantra è integrazione, pertanto è un continuum e nel momento in cui si riesce a non esaltare nessun particolare, allora si trascende la coscienza comune. Coscienza comune che non riesce a vedere oltre il particolare, ma che in realtà si riduce semplicemente ad esaltare il proprio ego per un piccolo o grande risultato fisico, come se fosse la conquista della propria realizzazione. Non è la realizzazione di una postura, per quanto difficile possa essere, che dovrebbe avvalorare l’idea che l’esecutore abbia raggiunto un traguardo realizzativo.
Esercitarsi in un āsana non può essere un’azione intuitiva perché nella memoria di ogni essere umano si trovano solo ricordi di azioni e gesti ispirati alla vita profana e, quindi, non basta imitare apparentemente ed esteriormente le forme fisiche che un noto yogin riesce a mostrare per credere di aver raggiunto il suo livello realizzativo.
Pensate veramente che la realizzazione sia una cosa che si possa vedere esteriormente analizzando l’atteggiamento di una persona? Sarebbe bello e semplice poter aver questi riferimenti, ma la cosa è ben più complessa. Nella società di oggi che pratica yoga c’è un grande sbilanciamento che nasce dal dare troppa importanza all’esercitazione fisica e al sostegno che la mente riesce ad offrire al corpo attraverso la concentrazione e le percezioni sensoriali… Ma non basta!
MICROCOSMO E MACROCOSMO
La coscienza dell’uomo durante la pratica dovrebbe trovarsi al centro di un processo globale del microcosmo di cui siamo costituiti, dove nello stesso istante nel quale i muscoli e le articolazioni operano, accadono delle interazioni tra respiro e flussi pranici e simultaneamente a livello mentale sensazioni, autoesaltazioni, dinamiche mentali spontanee, ricordi, proiezioni future e sensazioni di vario genere.
E qui sorge una domanda spontanea: “È possibile che la coscienza dello yogin possa realmente dimorare consapevolmente e nello stesso istante al centro di questo processo vitale così variegato? ” Se la risposta è sì, siete degli yogin; se la risposta è no, siete dei ginnasti; se comprendete di non riuscirci, siete sulla buona strada, ma non vi dovete demoralizzare; se la cosa vi interessa tanto, ma non sapete come fare, siete pronti per essere iniziati con una procedura graduale e sistematica. È importante che la coscienza dello yogin impari a non dare troppa importanza al corpo pur esercitandolo, per imparare a coltivare una presenza globale che possa contattare l’Uno (Eka) tantrico, l’onnicomprensività, il Tutto (Pūrna) che è presenza come essere nella sua manifestazione. L’identità tra microcosmo e macrocosmo è stata sostenuta sin dall’antichità, e attraversando i secoli ha rappresentato la base teorica di numerose scienze sapienziali (astrologia, magia, psicologia, medicina, filosofia antica, ermetismo, Cristianesimo). La particolarità del Tantra e dello Yoga è che questo concetto oltre ad essere un’affermazione teorica e una convinzione intuitiva, dovrebbe diventare il più importante vissuto esperienziale da sviluppare nel corso delle pratiche. In questo modo impareremo a non dare più importanza ad un particolare, ma pur attivando quel particolare lì, dovremo avere la forza interiore di mantenere invariata la visione della totalità in una forma sempre più stabile, evitando di subire qualunque distrazione.
CORPO E MENTE SENZA TEMPO
Il più grande ed originale contributo, che il Tantra abbia dato alla spiritualità indiana e non, è la particolare e profonda relazione con il corpo. Il corpo è stato preso sul serio e veniva visto come il tempio dello spirito e non, come viene considerato dalla maggioranza delle vie salvifiche, un impedimento e fonte di disorientamento tale da essere considerato responsabile nell’alimentare il karman, e quindi, un vero ostacolo. La visione integrativa del Tantra raggiunge la sua massima evidenza nell’aver saputo esprimere una elevata ed evoluta relazione con il corpo. Il corpo racchiude dei misteri che vanno scoperti attraverso un’esercitazione insolita ed inaspettata. Il Tantra può essere considerato come una metafisica integrativa, visto che viene affermato che l’universo non è pura illusione, ma una manifestazione tangibile della Realtà divina. Il corpo anch’esso, essendo parte integrante dell’universo, diventa anch’esso una tangibile manifestazione dell’energia divina. Il corpo è per il tantrismo il mezzo e lo strumento più efficace per la realizzazione del Sé. La condizione per perseguire questa finalità è quella di liberarsi di tutti gli automatismi fisici e mentali dettati dall’inconscio. È proprio, la sua costante ripetitività, che tende ad incrementare di riflesso il karman. L’azione fisica è dunque uno strumento efficace per connettersi con i propri impulsi inconsci, e quindi vederli, comprenderli e imparare a dare una diversa direzione al pensiero. È in questo modo che ci si può appropriare di un’atmosfera mentale nuova, in ordine con le linee guida dell’insegnamento tradizionale. Troppo spesso, i ricercatori spirituali, separati dalla loro esistenza corporea, finiscono col nutrirsi di stati di coscienza animati dal potere dell’immaginazione, che non sono né liberatori e né appaganti, ma solo un momentaneo effetto di proiezioni fantasiose e poco durature. Questa particolare scoperta, mi consente di sottolineare quanto la visione del tantrismo possa veramente aver dato una interpretazione creativa, originale ed unica nel suo genere. Indirizzata soltanto, a chi intende perseguire una via spirituale, ma per la quale è necessario approdare prima ad una dimensione di pacificazione interiore e di pratyāhāra.
Immagine - Amore Sacro e Amor Profano, Tiziano Vecellio (1515)
Per capire il Tantra è necessario capire il mondo e per capirlo è necessario riprendere un antichissimo temine, apparso in alcune Upaniṣad e nella Bhagavad-Gīta: saṃsāra.
20 marzo 2020
In riferimento a quanto ci viene trasmesso dalla visione tantrica, senza accorgercene veramente, viviamo in un universo, un oceano di energie impregnate di coscienza. Purtroppo, siamo costretti e indotti a vivere l’esperienza individuale, limitata e circoscritta dell’energia a causa dell’ignoranza soggettiva che nasconde e limita la verità.
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