L'INTENZIONE COLORA L'AZIONE

15 marzo 2020

Antonio Nuzzo

Perché il samsāra ci può interessare proprio parlando di Tantra? Perché noi che pratichiamo un derivato del Tantra, lo haṭha yoga, dovremmo avere ben chiaro qual è lo scopo principale da attribuire alle nostre azioni per meglio coltivare le giuste intenzioni. Uno yogin non può essere un samsārin ovvero un sostenitore del samsāra , ma dovrebbe fare in modo che le sue azioni e le sue pratiche possano avere un effetto di purificazione tale, da permettere l’interruzione dei cicli continuativi di nascita, morte e rinascita. Questa è l’unica ragione per la quale esiste lo yoga e anche qualsiasi altra forma (marga) di yoga.

IL MOTIVO PRIMARIO
Quando una disciplina propone un obiettivo, lo si dovrebbe poter sostenere durante l’azione sennò si sta facendo un’altra cosa... È lo scopo e l’intenzione che ispirano l’azione, non il contrario. Un esempio: faccio una passeggiata e fra i risultati che attribuisco alla mia azione ne potrei scegliere qualcuno per esempio: mi sono allenato i muscoli, ho ridotto il grasso superfluo, ho aumentato la massa magra, ho migliorato la funzione cardiaca e polmonare, mi sono ossigenato, ho incontrato gli amici, ho incontrato tanti uccelli e animali di vario genere, ho colto e mangiato della frutta, ho potuto parlare con il mio fidanzato in santa pace, in cima alla collina ho visto un panorama stupendo e il sole tramontare...
È chiaro che a ogni azione ci possono essere una miriade di effetti che comunque posso accogliere e permettermi di ricavare i vantaggi che più mi aggradano, ma allo yogin interessa una sola cosa: quale è la ragione primaria che mi spinge a svolgere l’azione, la ragione primaria è racchiusa nella giusta intenzione.
L’intenzione è il pensiero che dovrebbe muovere l'azione, è quello che la dovrebbe precedere e sostenere. E la vera e unica intenzione che uno yogin dovrebbe avere e nutrire è quella di volersi liberare dal ciclo delle infinite incarnazioni. Ecco allora che la sua di pratica diventerebbe un evento mistico e non profano. Come chi fa una passeggiata ricava innumerevoli vantaggi dal movimento, poi, anche lo yogin - perseguendo l’intenzione giusta - potrà ugualmente raccogliere tanti “benefici” fisici; ma questi sono solo di contorno alla propria ricerca e non dovrebbero diventare la o le motivazioni per le quali si pratica.
Ma vi immaginate oggi qualcuno che - alla domanda perché pratichi yoga? - vi risponda: “Lo faccio per liberarmi dalla prigione del samsāra e quindi dal ripetersi delle vṛtti, secondo quanto affermato da Patañjali in “Yogasūtra”?
Oggi sembrerebbe proprio una risposta assurda, che farebbe dire a chiunque: “Ma guarda questo che cosa si sta inventando...”.

LO YOGIN E I CONTADINI
Da queste considerazioni si potrebbe affermare: «Dimmi qual è l’intenzione che accompagna la tua azione e ti dirò se sei uno yogin oppure un cultore di una ginnastica esotica ispirata allo yoga».
A tale proposito vi racconto una storia ambientata nell’antica India, circa due o tremila anni fa, in una foresta viveva un ṛṣi (si pronuncia: rishi), ovvero un saggio, un veggente, conoscitore dei Veda, degli inni sacri, dello yoga in tutte le sue declinazioni; alcune famiglie di contadini vivevano attorno a lui per usufruire dei suoi insegnamenti e in cambio offrivano al ṛṣi i frutti del loro raccolto. Un giorno una coppia di contadini andò a trovarlo per risolvere un problema di salute e lui diede loro il consiglio di prendere degli infusi di erbe, qualche regola alimentare, alcune pratiche di yoga, alcuni āsana e prāṇāyāma.
La domanda sorge spontanea: ma questa coppia seguendo queste pratiche diventò degli yogin?
La risposta è «no». Perché? Perché la loro intensione è quella di curarsi e quindi fecero alcune pratiche di yoga a fini curativi. Esattamente come la maggioranza delle persone che usa lo yoga, ma non sono degli yogin. Lo yoga non va usato, ma va vissuto in tutta la sua interiorità. È necessario ricordarsi sempre che è solo l’intenzione che dà colore all’azione.

Nell'immagine, «Campo di grano con volo di corvi» Vincent Van Gogh (1890)

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