12 giugno 2020
Secondo l’insegnamento di quasi tutti i maestri tàntrici, la morte non è la fine, tuttavia si deve passare attraverso numerose rinascite e ripetute morti. Per questa affermazione è necessario prestare molta attenzione alla nostra esistenza corporea, qui ed ora. La più elevata realizzazione non può essere separata dalla propria esistenza corporea affermano i tàntrici. Il corpo è considerato il testimone silente di tutte le nostre esperienze che siano esse positive, esaltanti, gioiose e appaganti oppure dolorose, sofferenti, negative, traumatiche, invalidanti. L’espressione corporea è silenziosa sì, ma si esprime tuttavia attraverso le più svariate sensazioni sottili, piacevoli, delicate, quelle appena accennate o più marcate, negative, forti e dolorose. La caratteristica più evolutiva risiede sempre nella immediata capacità di abbandono e la disponibilità nel dire a sé stessi: “lascio fare, ciò che deve accadere, accada”. Perché la qualità più elevata da coltivare è la fiducia nelle risorse più nascoste che sapranno manifestarsi in modo assolutamente inaspettato e risolutivo. Tengo a precisare che la caratteristica integralista del tantrismo, di cui parlavamo nelle pagine precedenti, si diffonde, non solo attraverso l’applicazione delle innumerevoli tecniche racchiuse nella sezione dello haṭha-yoga, ma soprattutto nelle spontanee occasioni che ci vengono offerte dalla vita.
ABBANDONO IN ĀSANA
Durante l’uso di un āsana, per esempio, quale è la facoltà più importante da perseguire in assoluto e perché?
Un āsana è un’attitudine fisica da tenere nell’immobilità assoluta, liberando un ritmo del respiro costante e sereno in uno stato di coscienza globale senza tralasciare nulla. A queste qualità e capacità ne dovreste aggiungere un’altra: l’abbandono. Un āsana è caratterizzato dal fatto che richiede di contrarre certe parti del corpo, di rilassarne altre che potrebbero non avere la necessità di sostenere una contrazione e altre già rilassate. Comprendete che è proprio questa, una delle ricerche più importanti nella pratica di un āsana. Nello haṭha-yoga è necessario rilassare le parti inutilmente contratte in modo tale che l’ampiezza delle parti rilassate cresca il più possibile. La ragione è perché le cose più interessanti, da un punto di vista yogico, accadono nelle aree rilassate e non in quelle contratte. La contrazione si chiama bandha e ha la funzione nascosta, esoterica di alzare un argine al passaggio dell’energia e di conseguenza più sono ampie le aree rilassate e più è ampio e accelerato il flusso di energie vitali in quelle zone. È come se la contrazione dicesse all’energia di andare a nutrire le zone dove le tensioni si sono totalmente rilasciate. L’abitudine più comune è porre l’attenzione alle zone contratte. Nella vita è difficile vivere l’abbandono totale ed è per questo che abbiamo molte resistenze in āsana. Le resistenze rapresentano un riflesso condizionato derivato dalle abitudini dettate dalla paura. Perciò si dovrebbe approfittare della pratica per permettere alla nostra interiorità di vivere ciò che la vita non ci consente di fare.
L’ENERGIA DELLA CONSERVAZIONE
Lo sviluppo di una costante connessione consapevole è la facoltà da coltivare insieme a quella di sciogliere le inutili tensioni. In questo modo comprenderete come fare a lasciare che il ‘destino’ si compia e l’energia della Śakti si manifesti totalmente in tutta la sua pienezza.
Quale è l’impedimento maggiore…? L’abitudine a voler intrapporre fra l’energia della pulsione, che sentiamo vivamente sprigionarsi, e la nostra abitudine a voler vagliare fra le tante opportunità, ciò che la nostra mente razionale, abbinata al senso dell’io, decide di mettere in atto.
Quasi sempre il riflesso condizionato che si manifesta è quello volto a conservare l’acquisito e la riconquista di una stabilità turbata. L’attaccamento alle abitudini del passato prendono il sopravvento e l’occasione di sperimentare la vita, si spegne. Abbiamo spesso ‘la vocazione del pompiere’, alla fine in qualsiasi evento scegliamo di spengere l’energia vitale, purché l’energia della conservazione possa ripristinarsi al più presto insieme allo status quo. È più facile, tuttavia, sprigionare l’energia quando si prospetta un’esperienza piacevole e ci sentiamo improvvisamente in armonia con l’energia vitale, è un’altra cosa invece quando percepiamo che l’esperienza che stiamo per vivere possa essere dolorosa. È da considerare tuttavia che le esperienze piacevoli portano immediato benessere e sono all’istante appaganti ed è per questo che le andiamo a cercare. Lo testimonia un modo di dire comune: “Si vive una sola volta”.
ABBANDONO AL DOLORE
Le esperienze più dolorose, che solitamente cerchiamo di fuggire a tutti i costi non ci portano gioia nell’immediato, ma la portano, invece, nel lungo periodo, soltanto se impariamo ad avere un buon approccio e una giusta relazione. Il dolore in alcuni casi potrebbe portare addirittura all’estasi, a condizione però di trovare il modo, di entrarci dentro e abbandonarci consapevolmente all’esperienza per lasciare che il dolore si esprima totalmente e liberamente senza nessun freno. La sofferenza, il dolore potrebbe aprire un accesso a tapas, quel calore che risveglia l’ardore e l’energia della trascendenza. Per questo motivo in una totale disponibilità all’accoglienza, si potrebbe trovare naturalmente la via affinchè si sprigioni spontaneamente un’energia evolutiva. Solitamente racchiusa nelle stratificazioni più profonde del nostro esssere, si risveglia così improvvisamente e libera energie nascoste di cui non ne eravamo a conoscenza. L’abitudine mentale repressiva si potrebbe ripetere all’infinito se non prendessimo la decisione di lasciare che la pulsione vitale, l’energia pura che si è manifestata alla nascita continui ad essere attiva anche nello svolgersi della vita. Per fare questo ci vorrebbe da un lato coraggio, ma anche il forte desiderio di sentirsi al servizio della vita e non la vita al servizio di noi stessi. Va chiarito che uno yogin non è un fachiro e quindi non dovrebbe neppure sentire il bisogno di esibirsi fisicamente in digiuni, mutilazioni e altre prove di volontaria sofferenza. Lo yogin è un asceta, perché applica tecniche ascetiche e il più grave rischio di ripiegamento è quando lo yogin abdica dal suo compito degradandosi a fachiro. La vita ha una sua progettualità abbinata alla vitalità necessaria. Non va contrastata, ma piuttosto rispettata. Questa spontaneità si estende nel tempo e accompagna il corpo verso la maturità, la vecchiaia e la morte. Assecondiamola…
Nell'immagine, «La passeggiata» Marc Chagall (1917-18)
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