18 giugno 2020
-André, è stato un grande divulgatore e diffusore dello haṭha-yoga, ma anche del tantra, come mai molte persone pensano che André Van Lysebeth sia stato principalmente un maestro di āsana?
AN: André nella sua vita ha avuto un’enorme produzione di scritti, dalla rivista mensile pubblicata per circa quaranta anni, ai libri e ai vari articoli apparsi nella sua lunga vita, ma è stato particolarmente conosciuto con il suo primo libro “Imparo lo yoga”, che ha avuto una grande diffusione in tutti i paesi del mondo e che continua ad essere venduto senza aver mai subito nessuna flessione nelle vendite e negli apprezzamenti dei lettori da più di 40 anni. “Imparo lo yoga” continua a essere anche un testo di riferimento per tanti praticanti, ed adottato inoltre come testo di base in parecchie scuole o corsi di formazione per insegnanti di yoga. E’ un testo pratico che illustra una sequenza di yoga che raggruppa le più tradizionali e classiche posizioni di yoga insegnate e diffuse dal suo diretto Maestro Swami Sivananda di Rishikesh, al quale è stato devoto per tutta la sua vita. Il grande successo di questo testo ha forse condizionato il pubblico nel considerare André un insegnante solo di āsana, quando, chi l’ha realmente conosciuto e seguito per anni ha potuto apprezzare la sua grande preparazione e profondità nell’insegnamento di tantissimi altri aspetti dello yoga che sono rimasti come bagaglio esperienziale e di conoscenza solo per pochi: per coloro che hanno avuto la fortuna di praticare con lui durante i corsi oppure durante i lunghi seminari estivi.
-Quando André parla di āsana, come la definisce?
AN: “Nel parlare di un āsana, André, nel suo libro “Imparo lo yoga” dice: “una posizione di yoga perché sia considerata tale deve essere una posizione eseguita correttamente, tenuta a lungo, eliminando gli sforzi inutili, controllando il respiro e l’attività mentale”. Si comprende da queste raccomandazioni quanto egli sia stato sensibile a tutti gli aspetti e le potenzialità innate in ognuno e che l’azione fisica non è mai stata da lui esaltata solamente come abilità fisica, ma ha sempre dato un’estrema importanza anche al respiro e alle facoltà mentali, al punto tale da richiedere in āsana un controllo respiratorio e mentale durante l’azione.”
-“Yoga Mentale” pubblicato dalla casa editrice francese Almora è costituito da un’insieme di testi pubblicati sulla rivista “Yoga” creata da André a partire dagli anni 60. Questi articoli raggruppati dal figlio Willy con il tema “Yoga mentale” costituiscono gli insegnamenti più nascosti di André, mai diffusi attraverso i testi precedenti, rappresentano il cuore, la profondità, l’esperienza della sua pratica personale, quella più intima e forse per questo meno diffusa. Come è nata l’idea di pubblicarli?
AN: L’iniziativa è stata dei figli di André e in particolare di Willy, che ha seguito molto da vicino il cammino del padre, e che ha permesso la pubblicazione di questo libro. Willy con grande maestria ha saputo scegliere fra centinaia di articoli pubblicati nelle riviste, coordinare gli stessi per argomenti, e raggrupparli per dare vita a questo libro del tutto inaspettato. Un libro che mette alla luce parecchi argomenti trattati nel corso della vita di Andre che non hanno avuto la giusta visibilità.
-Quali sono in particolare gli argomenti trattati in “Yoga Mentale”?
AN: “Argomenti nuovi mai pubblicati, ma di primario interesse per coloro che hanno voglia di conoscere il pensiero di André riguardo a quelli che sono i puri processi mentali nella vita di una persona e imparare il modo di addomesticarli per liberare citta, la coscienza soggettiva.
Articoli sulle immagini mentali e lo sviluppo di alcune capacità mentali come per esempio vedere senza gli occhi e poi l’elogio dell’immobilità come una sorgente di potenza. Nel capitolo 5 dal titolo: “Tout est mental, tout est dans le mental” André afferma di aver imparato a non fidarsi di ciò che è evidente per i sensi. Il fatto di aver visto con i propri occhi non è più qualcosa di inconfutabile, il reale è all’antipodo dell’evidente. In altre parole, André rende evidente un concetto scientificamente provato: qualunque informazione che arriva dai cinque sensi, deve essere elaborata dal cervello e riprodotta come immagine nella mente. Non si tratta afferma André, di negare un universo esteriore concreto, ma rendersi conto che non è per nulla simile alla sua rappresentazione mentale. Tale osservazione è l’inizio di un’analisi, che nella sua evoluzione porta al concetto di “maya” ovvero illusione, che dovrà, secondo la visione del vedānta, essere estirpata per conoscere la vera realtà. E’ necessario inoltre imparare a conoscere l’universo interiore fatto d’immagini, sensazioni, suoni, sapori, odori che danno carattere al mondo esteriore.”
- Che cos’è per André il pratyāhāra?
AN: “André paragona il pratyāhāra al sonno, quando ci si immerge nel sonno si produce spontaneamente la ritrazione dei sensi, ovvero i cinque sensi vengono isolati, qualcosa dentro di noi decide di non ascoltare più le informazioni sensoriali consentendoci di entrare in uno stato spontaneo di pratyāhāra. Durante il percorso meditativo si cerca inizialmente di ricreare lo stesso stato di ritrazione per poi entrare consapevolmente a contatto con tutti i soli contenuti mentali, che potrebbero essere legati agli avvenimenti della vita più pregnanti, senza che questo sia da considerare un esame di coscienza. Non ci dovrebbero essere né giudizi, considerazioni, valutazioni, ma soltanto una semplice osservazione accompagnata da un distacco interiore. André afferma chiaramente che nella meditazione è necessario imparare a distaccarsi totalmente da tutti gli organi dei sensi, in modo da chiudere tutte le porte che comunicano con l’universo esteriore e limitare l’interesse sui soli contenuti mentali, dietro i quali vi è sempre e permanentemente lo Spettatore profondo, il Sé, l’essenza stessa della nostra esistenza. In meditazione si assume una posizione seduta proprio per evitare, come nel sonno, di cadere in quell’attivazione mentale che porterebbe alla produzione di sogni e di visioni oniriche incontrollate.”
-Qual è l’elemento essenziale al percorso meditativo?
AN: “La posizione seduta è il primo ostacolo: è necessario tenerla perfettamente immobile con la schiena diritta eliminando anche i micromovimenti del viso, delle mani e di qualunque altra parte del corpo.
Dall’immobilità nasce uno stato interiore privo di stimoli sensoriali, i milioni di ricettori sparsi in tutto il corpo non saranno così stimolati. E’ come quando si ha un arto ingessato, e si dice: “non sento più il mio braccio o la mia gamba”. Immaginate un’immobilità che investe tutto il corpo, persino i micromovimenti dovrebbero essere pazientemente eliminati, allora è possibile entrare in uno stato interiore di maggiore silenzio, il respiro rallenta e le immagini mentali diventano meno numerose, come pure i pensieri, fino a raggiungere uno stato di silenzio consapevole e una mente non reattiva.
Cosa senti nei confronti di André?
AN: “André è stato e rimarrà sempre, per me e per tutti quelli che l’hanno conosciuto, un maestro che con sincera e generosa disponibilità ha saputo, sin dai primissimi anni ’50, lavorare senza sosta per trasmettere, con semplicità e spirito di servizio e con tutti i mezzi a sua disposizione, un insegnamento di grande valore estremamente ampio con il quale ha saputo trattare tutti i campi di interesse dello yoga. Ho frequentato casa Van Lysebeth fino alla separazione da Françoise. Quando è successo, lui e Denise si sono molto dispiaciuti perché mi volevano bene. Sono felice di avere comunque vissuto il momento migliore della straordinaria esistenza di André. Vorrei esprimergli la mia più profonda riconoscenza, gratitudine e un grande ringraziamento per esserci stato.”
Nell’immagine André Van Lysebeth e Antonio Nuzzo durante un seminario
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