26 marzo 2020
Nella tradizione l’intenso legame tra il maestro e discepolo è considerato una forza che non è possibile interrompere. Nella «Bhagavad Gita» la relazione tra Shri Krishna e Arjuna, maestro e allievo, è cosa di grande fascino. Nel dialogo che ha luogo sul campo di battaglia, Arjuna, il guerriero, rappresenta l’uomo che cade nel dubbio e Krishna, l’auriga che lo accompagna in battaglia, gli fa da guida, cercando di dissipare i suoi dubbi, ma al tempo stesso incitandolo ad agire seguendo la propria natura.
Le diverse culture giocano un ruolo fondamentale anche nel rapporto maestro-allievo, così da assumere diverse caratteristiche nelle varie civiltà ed epoche. Non è possibile per noi occidentali imitare il profilo del ricercatore spirituale dell’antica India. Non è neppure possibile per l’allievo vivere a stretto contatto con il proprio maestro a differenza di quanto avveniva nella tradizione e quindi l’unico momento per relazionarsi tra i due è la lezione di yoga.
UNA RELAZIONE DI COLLABORAZIONE
La relazione maestro-allievo è una relazione di collaborazione, entrambi partecipano a un processo dinamico in continua evoluzione, dove non hanno importanza i ruoli di ciascuno, ma ciò che viene trasmesso. L’insegnante però può aiutare gli allievi a essere aperti, a scoprire cosa è nascosto o poco evidente in loro; inizia così una nuova vita, un nuovo cammino che scardina la struttura stessa dell’io. Questo processo come tutti i cambiamenti non sarà qualcosa di facile e probabilmente ci sarà nell’allievo una fase di disorientamento, ma questo succede perché comunque l’allievo sta mettendo in discussione dei valori stabiliti. A questo punto non sarà più possibile tornare a una comoda modalità esistenziale.
IL VISSUTO E LA CREATIVITÀ
Quello che è il rapporto insegnante-allievo è diverso per ognuno di noi, a seconda del nostro vissuto personale, dei problemi caratteriali, del grado di evoluzione. Non esiste una linea definita nell’insegnare agli allievi, c’è semplicemente una comunicazione profonda del sentire la propria ricerca. Il processo della trasmissione andrebbe considerato come una vera e propria arte. Un maestro è come un artista, deve avere la capacità di comunicare il proprio insegnamento e il proprio sentire la ricerca. Il vero rapporto si ha quando l’allievo vede che l’altro - il maestro - prova gusto, passione, interesse nel trasmettere qualcosa e, a sua volta, riceve qualcosa.
NON È PSICOTERAPIA
Il ricercatore occidentale crea con il maestro un rapporto più personale e chiede spesso consigli relativi a problemi emotivi, ma il maestro non è uno psicoterapeuta e non può risolvere tutti i nostri problemi. Credere che il nostro maestro abbia un potere illimitato e che possa liberarci da tutte le nostre difficoltà può creare illusioni e successive delusioni. Molti occidentali per scarsa autostima e per paura di sbagliare preferiscono delegare ad altri la responsabilità delle decisioni che li riguardano, ma una relazione eccessivamente dipendente da un maestro non favorisce la maturazione dell’individuo che invece è uno degli obiettivi principali del sentiero spirituale verso la liberazione. Il discepolo contemporaneo instabile e nevrotico affronta l’insegnamento muovendo dalle sue paure, dalle sue insicurezze, dalle sue ansie e quindi anche se la sua vita è vuota e non vissuta si sente gratificato dall’idea di appartenere ad un gruppo o dall’essere discepolo di un maestro che egli idolatra e considera al di sopra di tutto, questo gli infonde sicurezza e lo fa sentire importante, ma questo non permette di sperimentare le cose in prima persona e di ricercare il proprio cammino che porterà alla liberazione e a ritrovare se stessi. Prima di accedere a una realtà metafisica, un allievo dovrebbe trovare una collocazione nella vita reale.
IL PERICOLO DI PERDERSI
Un altro pericolo può consistere nel ricercare di mettere insieme più insegnamenti spirituali. La ricchezza d’informazioni attinta da libri, conferenze, seminari e diversi maestri, potrebbe rappresentare solo un accumulo d’informazioni e permettere al nostro mentale di fare da padrone. L’importante invece è essere ricettivi e, se si ha la fortuna un giorno nella propria vita di incontrare il proprio maestro, nel fidarsi davvero di lui. E nel lasciarsi trasformare.
Nell'immagine, «Azull III» - Joan Mirò (1961)
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