ESCLUSIVO - IL RACCONTO DI ANDRÉ VAN LYSEBETH: «IL MIO INCONTO CON SWAMI SIVANANDA»

08 aprile 2020

Francesca Palombi

Swami Sivananda è stato il maestro di André Van Lysebeth che andò a trovarlo il 9 aprile 1963 a Rishikesh. Il racconto che abbiamo tradotto qui sotto è stato scritto dallo stesso André sul primo numero della sua rivista «Yoga», uscita pochi mesi dopo.

IL PRIMO SATSANG di André Van Lysebeth

«Non dimenticherò mai questo primo Satsang. Al seguito della Principessa e Kristina, entro nella sala inferiore, sul soffitto un ventilatore soffia l'aria, mi siedo dal lato degli uomini. Una trentina di persone sono già sedute. Così come si usa, mi siedo sul pavimento e guardo in direzione dell’unica poltrona che si trova nella stanza, quella in cui, senza dubbio, Swami Sivananda verrà a sedersi più tardi.

Ci sono momenti dell'esistenza, nei quali ti invade un sentimento di irrealtà, e dove ci chiediamo se stiamo sognando o no. È questa l’impressione che provo in questo momento, trovandomi tra questi uomini dai volti abbronzati, mentre l'odore dell'incenso di sandalo fluttua nell'aria e la fatica del cammino inizia a farsi sentire.

C'è un movimento nell'assemblea: ecco Swami Sivananda. Un gigante con la testa rasata, entra, sostenuto e quasi portato da due robusti swami, minuscoli al suo fianco. Tutti gli sguardi sono su di lui e anche io lo guardo intensamente. I suoi aiutanti, stavo per dire i suoi portatori, lo guidano lentamente, e con fatica sulla sedia dove si distende. Lo adagiamo tra i cuscini, sui quali poggia la sua nobile testa. Il suo viso è sorprendentemente giovane e privo di rughe. Ma, ovviamente, sta soffrendo. (...) Io penso al destino straordinario di quest'uomo, uno dei più grandi al mondo.

Medico, di successo in Malesia, decide di lasciare tutto e andarsene quasi quarantenne, a praticare yoga dedicandosi a un rigoroso ascetismo nella giungla dell'Himalaya. In seguito si stabilisce a Rishikesh. I discepoli si radunano intorno a lui. Uno dopo l'altro e costruzione dopo costruzione nasce l’ashram. Instancabile, si alza al mattino presto per primo e va a dormire per ultimo, incoraggia e istruisce tutti. Ha addestrato migliaia di discepoli in tutti i rami dello yoga.

Di un dinamismo straordinario, autore di oltre 300 (sì, trecento!) libri, affronta i temi più disparati, ma più in particolare yoga e Vedanta. Pubblica una rivista settimanale e mensile, fonda un ospedale oftalmologico e un ambulatorio gratuito accessibile a tutti. Discepoli di tutti i paesi vengono nel suo ashram, proprio come me in questo momento, attratto da questa personalità magnetica. Guardo la sua testa rasata, gli occhi chiusi. Penso a tutto ciò che quest’uomo ha realizzato. Medico di formazione occidentale, non solo allopatico, ma omeopatico, studia anche la medicina ayurvedica, la più antica del mondo, e fonda una farmacia che produce rimedi ayurvedici venduti in molti paesi. La naturopatia non ha segreti per lui. Filosofo e studioso di sanscrito, conosce a fondo i testi sacri dell'India e il suo commento della Bhagavad Gîta è un'opera straordinaria. Guardo anche le sue mani, lunghe e magre, e penso all'immenso lavoro che hanno realizzato.

Per anni, oltre alla sua attività lavorativa instancabile, rispondeva personalmente, a mano, alle lettere indirizzate a lui dai suoi discepoli in India come anche dai posti più lontani del mondo, fino a quando il loro numero è cresciuto talmente tanto da costringerlo ad usare la macchina da scrivere. Quest'uomo ha dedicato tutta la sua vita al servizio dell'umanità, senza alcuna distinzione di nazionalità, religione o casta.

Adesso è anziano e la vita con i suoi settantasette anni lo ha segnato fortemente. Ha insegnato agli altri come preservare il corpo dall’azione del tempo e delle malattie, ma non si è mai risparmiato, dormendo solo tre o quattro ore a notte, senza mai concedersi un giorno di riposo, indifferente completamente alla propria salute. Può darsi che abbia avuto torto, ma possiamo avere noi il diritto di giudicare un tale uomo? I risultati ci sono tutti e poche vite saranno state così fruttuose come la sua. Ha donato sempre tutto, senza calcolare, senza aspettarsi nulla in cambio.

Solo una cosa lo rende felice: sapere che stiamo mettendo in pratica i suoi insegnamenti e vedere i risultati.

Ripete instancabilmente: "Un'oncia di pratica è migliore di tonnellate di teoria".(...)

Ovviamente Swami è felice di vederci (...) Quindi il Maestro apre il Satsang. Un gruppo di Swami intona un kirtan. Mi sarei aspettato una musica dolce ma invece è un canto abbastanza rude che riecheggia sotto la volta, accentuata dal frastuono dei mridangs (tamburi) e dalle note sorde di un armonium. (...) Osservo ancora Swamiji. Tiene spesso gli occhi chiusi e sembra assente, ma non lo è. Non gli sfugge nessun dettaglio e la sua voce forte si alza per dare l’ordine del giorno e dirigere il corso dell'incontro. È e rimane il Maestro. Poi arriva la distribuzione del prasad, in altre parole il cibo consacrato dal Maestro che viene condiviso tra tutti i presenti. Comincio a capire perché tutti ricevono un quadrato di giornale. (...) "Ed ecco la visione, il Maestro dice ad André: "Andrew devi iniziare una rivista"».

Traduzione: Francesca Palombi

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